La tripla assurdità del doping nella corsa amatoriale


Mi è capitato l'altro giorno di rileggere un articolo tragicomico: un ex-maratoneta squalificato per doping si iscrive a una gara non competitiva (non avrebbe potuto) e taglia il traguardo davanti a tutti, anche agli atleti iscritti alla gara competitiva. 

Il running sale raramente agli onori della cronaca - neanche gli atleti più famosi guadagnano molto, specie se raffrontiamo lo sforzo fatto con i ritorni in moneta sonante, e certo è brutto che sia per notizie come questa. 

Se c'è una cosa assurda che non capirò mai è il doping tra i professionisti. Mi rattrista ogni volta che leggo di un atleta professionista scoperto a doparsi. Mi rattrista ancor di più il tragico teatrino a contorno di compagni/allenatori/dirigenti che non ne sapevano niente. Ma l'alibi per chi si dopa ha una forte attrattiva: "l'ha fatto per ottenere soldi e fama, anche mettendo a repentaglio la propria salute, ma se diventi ricco e famoso, puoi permetterti di curarti, se serve". Non che questo attenui le colpe di uno squallido baro che gioca con le carte truccate, a discapito di chi ci mette "solo" corpo e anima.

Ancora più assurdo è il doping tra gli amatori, quelli che fanno dello sport una grande passione, ma che non possono (non riescono) farne una professione. Sportivi forti, ma non fortissimi, che hanno superato l'età in cui da "giovane promessa" (lasciando perdere quelli con genitori fuori di testa) si diventa un atleta vero e proprio, ma sono rimasti nel limbo tra quelli che vincono tutte le gare e quelli che fanno sport per diletto. Credo sia enorme lo stress per aver mancato di poco il mondo del professionismo, che dà soldi e fama. Nel limbo si può aspirare solo alla poca fama e ai pochi soldi che circolano nelle competizioni di secondo livello. Tra questi atleti - perché sono atleti, e si allenano, mangiano, vivono da atleti - ce n'è sempre qualcuno che fa il furbo, e si affida al doping per superare gli altri. Questa cosa è doppiamente assurda perché la bilancia pende più sui danni alla salute che sui pochi soldi e l'effimera fama guadagnati nelle gare di secondo livello.

C'è poi un terzo livello doping, quello tra gli amatori senza nessuna ambizione, se non quella di stare davanti all'amico o al compagno di squadra. Sebbene se ne parli poco, è un fenomeno molto diffuso (si stimano 300mila italiani!), una sorta di "maggioranza silenziosa" che prende farmaci con poca o nulla coscienza di quello che fa, compromettendo così la prestazione sportiva e alla fine anche il proprio fisico.

Per questo è assurdo tre volte il doping tra i runner amatoriali: in cambio di una prestazione mediocre avranno né soldi né fama. 

È tre volte assurdo perché l'amatore inizia un'attività per il benessere fisico, e poi passa a sacrificare il benessere per una fugace soddisfazione.

È infine tre volte assurdo perché si trasmette il messaggio sbagliato che per migliorare basta prendere la medicina giusta, invece che sudare sangue sulla strada.

Chi lo fa dovrebbe essere condannato ad almeno vent'anni di lavori socialmente utili, ad aiutare persone malate, che prendono medicine per vivere, e che ne farebbero volentieri a meno per avere anche un solo giorno da persona sana.

(picture: #dope by JulieFaith su Flickr)

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